Sembra assurdo ma anche i responsabili commerciali piangono e sono nelle peste anche loro.
Quella che segue è l’intervista a un responsabile commerciale in cerca di lavoro dopo una carriera che ha tutte le carte in regola.

Partiamo dal principio: qual è esattamente il tuo profilo (età, formazione, competenze esperienze, ecc)

Ho 38 anni, sono specializzato nella gestione di catene di punti vendita, sia diretti che in franchising, ambito in cui lavoro da oltre 15 anni. Sono partito come addetto vendite in un supermercato e ho svolto tutte le mansioni intermedie. Sono laureato in Economia Aziendale, ho una magistrale in Corporate Communication, un MBA in Business Internazionale ed un corso di specializzazione in gestione delle aziende del lusso e del fashion.

Cercando un lavoro ti trovi in situazioni strane, partiamo dal punto 0: gli annunci.
Come sono gli annunci nei quali ti imbatti? Che rapporto c’è fra quello che c’è scritto negli annunci e la situazione effettiva?

Cercando lavoro si leggono annunci anche molto interessanti in cui si richiedono competenze specifiche di gestione che richiedono anni per essere acquisite: gestione di molte persone con ruoli differenti, sviluppo delle vendite, analisi di tutti i dati economici ed indicatori, gestione dello stock, sviluppo strategico del business, marketing, formazione del personale, gestione dei singoli punti vendita oltre, ovviamente, almeno all’inglese fluente. Spesso sono richieste anche altre lingue in aggiunta. Parlando di punti vendita è spesso richiesta una certa mobilità sul territorio e disponibilità a viaggiare. A differenza dell’estero, non sempre è indicata la RAL di riferimento e quindi le maggiori sorprese si trovano spesso su questo punto. Ovviamente ogni azienda ha in principio sempre molta fretta nel cercare le figure, considerate indispensabili, poi si scopre che, dopo anni di “togli e metti” annunci, stanno ancora ricercando la medesima figura, spesso senza mai averne provata una. In questi anni ho raccolto moltissimi complimenti e feedback positivi, salvo poi veder sparire d’improvviso le aziende dopo aver fatto anche diversi colloqui, senza alcuna comunicazione a riguardo e nonostante la proposta d’assunzione sembrasse apparire come solo una questione di giorni, al massimo un paio di settimane. Sicuramente la professionalità si riscontra anche in questo, è lecito cambiare idea ma comunicarlo dovrebbe essere il minimo.

Com’è cambiato il trattamento economico? Rispetto a un tempo?

Consideriamo che un responsabile di un piccolo punto vendita può prendere dai 23-25.000 ai 35.000 euro di RAL, un netto che va quindi circa dai 1300 ai 1800 euro, se parliamo del lusso o della grande distribuzione, queste cifre lievitano fino a circa 45-50.000 .

Per un Retail Manager che gestisce tutta la catena distributiva e la strategia commerciale si propongono spesso dai 35.000 ai 45.000 euro, nella maggioranza dei casi si rimane nella fascia 35.000-40.000, cifre comunque da responsabile di negozio, magari ben formato. Per fare un paragone, prendevo la stessa cifra oltre 10 anni fa come responsabile junior di un punto vendita della grande distribuzione. C’è una forte disparità tra le competenze richieste e ciò che viene offerto. Difficilmente c’è un riconoscimento reale delle competenze, di fatto un neolaureato paragonato ad uno con esperienza, non fa così tanta differenza agli occhi delle aziende.

Spesso si entra in una situazione “non ottimale”, cosa,è possibile fare per cambiarla?

Le aziende spesso gestiscono in autonomia le prime fasi di apertura dei punti vendita, spesso senza una strategia specifica se non quella di incrementarne il numero. Questo ovviamente crea dei problemi gestionali e, solo quando i problemi iniziano ad essere grossi, ricercano uno specialista. Premesso questo, ci si aspetta che, chiamato lo specialista, questo possa lavorare, purtroppo non è così. Passare da un’azienda incentrata sul prodotto, condizione tipica di un’azienda manifatturiera, ad una incentrata sul cliente, necessita di un cambio radicale nella concezione del lavoro interno, va cambiato il focus, altrimenti non si riesce a fornire un servizio adeguato. Entrati in azienda ci si scontra spesso con una realtà tutt’altro che dinamica in cui il proprietario, colui che ti ha chiamato, è il primo a non voler modificare fondamentalmente niente. Il motto è “si è sempre fatto così”.Ti viene detto che si vuole andare in una direzione specifica, magari opposta all’attuale, ma, di fatto, si pretende di farlo senza sterzare nemmeno minimamente, direi molto difficile. Serve un netto cambio culturale in direzione manageriale: gestire le risorse per farle rendere al meglio, all’interno di questa frase è racchiuso tutto, dalla delega e controllo al riconoscimento del merito, passando per una strategia chiara e condivisa.

Da commerciale, quali sono le situazioni pregresse peggiori che hai visto?
In altre parole, quanto marketing manca alle aziende?

Purtroppo più che le peggiori parlerei quasi di standard, pochissime aziende hanno veramente il controllo di ciò che fanno. I dati spesso nemmeno si hanno o comunque raramente si analizzano con puntualità. Mi è capitato più di una volta di scoprire che il sistema fornisse dati completamente errati, sintomo che nessuno li aveva mai considerati prima. Si naviga moltissimo a vista, senza una strategia o direzione di fondo e si considera molto la propria “pancia”, andando ad intuito, ma comunque sprecando, di fatto, un sacco di risorse. Sicuramente abbiamo aziende con un potenziale enorme ma relegate a nicchie di mercato per incapacità di crescere e svilupparsi. Per quanto riguarda il marketing, inteso come tutte le attività per generare un incremento delle vendita, questo è ancora una bestia nera. Quasi tutti hanno in azienda qualcuno che, ufficialmente, se ne occupa, ma spesso sono persone lanciate sul marketing che, in base alla propria specialità originale, curano un aspetto o l’altro, senza il minimo coordinamento con il resto dell’azienda e senza, soprattutto, valutare i risultati ottenuti rispetto alla spesa. Il marketing è ancora visto solo come pubblicità sui giornali e comunicazione spiccia, una visione sicuramente retrograda. Se guardiamo poi siti internet, gestione social e e-commerce, scopriamo di essere all’età della pietra.

Raccontaci qualche aneddoto divertente (si fa per dire) organizzativo che hai visto.

Una cosa che mi ha molto colpito una volta è quando mi è stato chiesto il segno zodiacale al colloquio, sicuramente era una sorta di giochino interno, però pensare che ci si basi sulle stelle per valutare un candidato fa molto pensare. Un’altra cosa che definirei curiosa mi è capita in un’azienda in cui ero stato preso per sviluppare da zero un concept di negozio con tutta la struttura a supporto (IT, HR e Marketing). Appena arrivato, il primo giorno, vengo accolto dalla proprietà la quale mi dice serenamente che, non avendo nulla da fare in quanto nuovo, avrei potuto dare una mano alle impiegate. Lascio immaginare quanto lavoro ci fosse invece da fare solo per capire la situazione intricata in cui tutto veniva non gestito.

Cosa pensi di fare nel prossimo futuro?

Emigrare. Fare i colloqui in Italia è sentire un disco rotto da tanti anni: si cercano competenze e si ha fretta di partire per poi rimanere stabili a livello “colloqui”. Potrei fare una mappa d’Italia con le aziende che ricercano sempre le stesse figure da anni e che comunque non cambiano atteggiamento o parametri. Qui si può “tirare a campare” ma a quale vantaggio? Non c’è possibilità di crescita o di sviluppo, vedo il problema molto culturale, alla quale fa eco quello economico.

Hai già una meta?

Per ora, nonostante la Brexit, Londra. Hanno una dinamicità ed una semplificazione nei processi che noi ci sogniamo.  In ogni caso sto guardando anche altri stati, in questo momento non mi fa molta differenza dover andare in Medio Oriente o in Canada.

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