La citazione originale di Oscar Wilde “c’è solo una cosa peggio dell’essere chiacchierati: il non essere chiacchierati” è più spesso indicata con la formula abbreviata “purché se ne parli”.
Non ho fatto una ricerca per stabilire quali sono le parole esatte dal buon Wilde, in questo momento è di secondaria importanza;
il punto cruciale è esplorare la valenza effettiva del concetto che viene puntualmente sbandierato ogni volta che scoppia un caso mediatico.

L’adagio, che viene puntualmente riciclato da chi vuol fare la figura dell’intelligentone di turno al bar sport, si basa sull’ipotesi che qualsiasi forma di visibilità, anche negativa, giochi in favore della persona/azienda al centro di una controversia. Quindi si assume che apparire sotto la cattiva luce di certi riflettori…è in realtà un gioco finemente calcolato.

Prendiamo in esame un caso in cui questo criterio funziona perfettamente.

Situazione: uno dissoluta rockstar dichiara in un’intervista qualcosa che indispettisce i benpensanti.

Reazione: scatta automaticamente una serie infinita di polemiche attraverso tutti i media possibili.
Giornali, talk show, opinionisti, tutto l’allegro carrozzone dell’informazione si attiva.

Risultato: la rockstar risulta sempre più invisa ai benpensanti, quindi aumenta l’attrattiva nei confronti del suo target di riferimento ovvero i ragazzi che vanno ai suoi concerti.

Tecnicamente parlando: in questo caso abbiamo due tipi di business che si intersecano favorevolmente l’un l’altro.

  • Da una parte abbiamo le vendite della rockstar di turno,
  • dall’altro abbiamo i giornali che hanno bisogno di qualcosa di cui parlare, che possibilmente generi visualizzazione sui siti.
  • In realtà i business sono 3: abbiamo anche i benpensanti che troveranno anch’essi giovamento in termini di brand awarness presso il loro target di riferimento (politici nei confronti degli elettori, presidenti di associazioni istituzioni varie nei confronti dei loro iscritti, eccetera eccetera).

Insomma, all’interno di questa situazione, ognuno si fa il suo gioco/interesse (quindi levatevi dalla testa che in questo gioco esista qualcuno di puro e innocente).

Fin qui, tutto bene.

Questo principio non si applica a tutti i casi.

Per esempio: la celebrity di turno è volto dell’anno di un tal brand. Questa fa o dice qualcosa di particolarmente discutibile che cozza con l’immagine del brand che la sponsorizza.
È probabile che la celebrity si ritrovi con una bella penale da pagare e il contratto rescisso dall’oggi al domani.

Altri casi in cui il meccanismo non funziona sono quelli in cui:

  • La visibilità negativa risulta omnia ovvero non c’è persona che apprezzi il ruolo di cattivo all’interno della storia: un’azienda che causa un disastro ecologico non sta simpatica nemmeno al più grande detrattore di Greenpeace.
  • La visibilità complessiva, pur essendo anche molto estesa, non arriva al target di riferimento della persona/azienda. In pratica è visibile a tutti fuori che alle persone che potrebbero comprare.

Quindi, quando supponete che dietro ad una determinata notizia ci sia una raffinata operazione di marketing, prendete in mano il rasoio di Occam (oppure quello di Hanlon) e arrendetevi al semplice fatto che “qualcuno da qualche parte ha fatto una cazzata”.

 

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