Si fa presto a parlare di innovare con l’iPhone in mano, 2 programmatori l’hanno fatto con le idropulitrici.
Stiamo parlando di Idrowash, un azienda di famiglia radicalmente innovata dai nipoti ultimi arrivati.
Ecco cosa è successo raccontato in un’intervista ai fondatori.

Partiamo dall’inizio: cosa ci fanno 2 programmatori con l’azienda del nonno? Com’era strutturata l’azienda di partenza e quali sono state le innovazioni strutturali e filosofiche dell’azienda? Cosa avete ereditato e cosa avete portato di nuovo?

Il nonno era un artigiano edile – lavoro tramandato da suo papà – specializzato nella lavorazione e posa delle pietre. Martello, scalpello e livella i suoi strumenti. Noi due programmatori che si erano messi in testa di investire in un settore tradizionale e in forte crisi. Computer e Internet, invece i nostri strumenti.

Siamo partiti da qui, un lavoro “normale” da reinventare, tanti vecchi (e nuovi) luoghi comuni da sfatare, e trovare il modo per unire il saper fare artigiano ereditato dal nonno con il digitale imparato a scuola.

iDROwash, nasce come una soluzione per l’edilizia sostenibile, per recuperare edifici e luoghi pubblici. Volevamo una soluzione sostenibile, che riducesse o eliminasse l’uso di prodotti chimici. Un problema non da poco, visto che queste sostanze durante l’uso si disperdono nell’ambiente. Ma volevamo anche che l’azienda avesse una chiara impronta digitale, e in questo i social avrebbero avuto un ruolo centrale.

L’idea dell’approccio green è stata probabilmente un’ottima carta: come l’avete costruita e come ve la siete giocata in un mondo “grigio e sporco” (che per altro promettere di pulire)?

È vero, c’è una crescente attenzione a questo tema, ma la sola salute del pianeta non basta. Come reagirebbe un cliente sapendo che l’azienda di cui si fida, da un lato rispetta l’ambiente e dall’altro impone condizioni di lavoro che non rispettano la dignità dei lavoratori? Sono forse le persone meno importanti dell’ambiente? Oggi è qui – oltre che sui social – che ci si costruisce e ci si gioca la faccia.

Il vostro successo passa per i social, questa è una frase con cui qualsiasi giornale generalista irraggerebbe il titolo. Visto che siamo in un contesto un po’ più tecnico, andiamo in profondità e vediamo come vi siete mossi:

Linkedin: è il social per definizione più indicato per le relazione business to business, in Italia è spesso sottovalutato, come l’avete utilizzato? E che risultati vi ha portato?

Fino a oggi Linkedin ci ha portato pochi risultati. Da un parte Facebook ci stava assorbendo molte risorse, dall’altra ci siamo presi tempo per analizzarlo. Ora stiamo lavorando per recuperare un po’ di tempo perso, ma i primi risultati sono interessanti.

Che Linkedin sia sottovalutato? Meglio, meno concorrenza. E tanto peggio per chi non sta facendo nulla. La stessa cosa che sta capitando in altri social, compreso Facebook. Dopo anni che si continua a ripetere che le aziende vanno digitalizzate, e (quasi) nessuno fa niente, c’è da chiedersi se valga ancora la pena di continuare ad insistere.

Dall’altra parte non basta dire digitalizzatevi, serve un modello, un esempio da seguire e imitare. Come per l’ecommerce il modello può essere Amazon o Ebay, altrettanto si deve fare per l’idraulico, l’elettricista e l’impresa di pulizie.

Facebook: pur essendo il social per eccellenza, e pur avendo il sistema di pubblicità più mirato della storia dell’umanità, apparentemente non si sposa molto al vostro caso. Se per esempio Jack Daniel’s fa presto a tirare su legioni di fan, voi come avete fatto a rendere il social di Mark la carta vincente del vostro business?

Amazon ci ha spiegato che vendere prodotti online, è soprattutto una questione di logistica, mentre riparare un rubinetto o pulire la facciata di un edificio sono processi più difficile da digitalizzare. Qui la figura del tecnico o dell’artigiano è centrale e l’oggetto della vendita è soprattutto qualcosa di immateriale come l’esperienza, la professionalità e la fiducia che si instaura con il cliente.

Facebook ha contribuito a questo, grazie alla sua struttura suddivisa in: profili, pagine e gruppi. Questi ultimi sono la vera anima del social network, dove le persone sono attive, e per noi la più importante. Qui si costruisce o si distrugge la credibilità, ma anche si instaurano collaborazioni e si trovano clienti.

Poi, in un social che si chiama “FACE”book, ci devi mettere la faccia. È molto difficile, ci vuole tempo ma funziona benissimo.

Avete usato qualche altro social?

Siamo presenti anche su Twitter, Instagram, Youtube, Google+. Poi anche su alcuni siti web di settore – dei forum – mentre ci teniamo alla larga dai portali di preventivi online.

Siete cresciuti bene e attorno ad iDROwash è nato un caso: ci raccontate qualcosa che vi ha sorpreso durante la vostra ascesa?

I tanti messaggi e anche le telefonate che riceviamo da molte persone non solo dall’Italia. C’è di tutto: si va dagli insulti – un malcostume tipico italiano – al signore di New York che telefona per complimentarsi. È soprattutto l’estero che ci ha sorpresi, non avevamo previsto che il nostro lavoro potesse attirare così tanta attenzione fuori del nostro Paese.

Questo ci ha fatto capire che eravamo nella giusta direzione e che dovevamo e potevamo puntare più in alto. Poi è arrivata l’attenzione dei media, che hanno iniziato a interessarsi alla nostra storia. E con loro una serie di importanti riconoscimenti, EXPO Milano 2015 tra i più importanti.

Progetti per il futuro? State già pensando a qualche evoluzione particolare?

Oggi, chi ha meno di 25 / 30 anni usa in massa i social network. Quelli che oggi sono adolescenti e giovani, tra pochi anni, saranno il mercato per migliaia di imprese.

Ne abbiamo parlato a Giugno alla Camera dei Deputati, con l’intergruppo parlamentare all’innovazione, e nel mese di Settembre la rivista Millionaire (il mensile di business più letto) ha ripreso la nostra storia, rilanciando e approfondendo il tema delle opportunità di mercato che il digitale offre.

È ora di agire. Perché il digitale rischia di diventare il problema, se non ci si sbriga a farne parte. Se ci sono persone illuminate che hanno a cuore quanto diciamo, noi ci siamo, siamo disposti a metterci la faccia e a condividere la nostra esperienza.

Che cosa consigliereste a chi vuole provare a fare un’azienda nel contesto attuale?

Non ci sono solo le app e le startup. È possibile fare impresa e fare innovazione anche nei settori più tradizionali. E qui, più che altrove, ci sono ampi margini per fare innovazione, soprattutto nei modelli di business. C’è anche molta meno concorrenza o questa è molto più lenta a reagire. Un vantaggio non da poco!

Dall’altra parte però – salvo rari casi – mancano iniziative concrete di supporto come avviene per le startup in cui l’offerta davvero abbonda.

Per quanto riguarda le aziende che sono già in piedi, qual è l’appello che lancereste per un’Italia migliore dal punto di vista imprenditoriale?

Chi ha più anni, ha molta difficoltà a accettare che c’è una generazione di 30 enni (e 20 enni), che hanno qualcosa da dire. Si dovrà trovare il modo, non solo per gestire il confronto tra generazioni, ma soprattutto occasioni perché si crei. Nuove e diverse sensibilità che possono creare valore (fatturato) e posti di lavoro.

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